mercoledì 2 aprile 2014

[emozioni tra le pagine]-Umanità

Testo tratto da I poveri non ci lasceranno dormire, di Alex Zanottelli, Mondolibri edizioni.

Volti di donne che pagano sulla loro pelle le assurdità del sistema. Il volto di Giuliana, abbandonata con tre figli dal marito, sicuro che la moglie avesse l'Aids. Lei non riuscì più a pagare l'affitto della baracca, e il padrone la cacciò fuori dalla stanzetta, con i bimbi e le poche masserizie.  (...)
E riandai alla figura di Agar, la schiava che ebbe un figlio da Abramo, e che Sara prontamente cacciò di casa. "Agar se ne andò, e si smarrì per il deserto di Bersabea. Tutta l'acqua dell'otre era venuta a mancare. Allora essa depose il fanciullo sotto un cespuglio, e andò a sedersi di fronte, alla distanza di un tiro d'arco, perché diceva: 'Non voglio vedere morire il fanciullo'. Quando gli si fu seduta di fronte, egli alzò la voce e pianse. Ma Dio udì la voce del fanciullo."
E' il libro della Genesi. Agar, figura emblematica di tutte le donne schiave della storia, di tutte le donne di Korogocho, e anche di Giuliana, che pochi giorni dopo, moriva abbandonata in quella baracca.
Il volto di Martin, uno dei raccoglitori di rifiuti della discarica, stroncato dal male a sera tardi, davanti alla sua casupola, vegliato durante la notte dalla gente perché quel corpo non fosse sbranato dai cani. Lo trovai al mattino, ai bordi della strada, adagiato in mezzo ai rifiuti e avvolto da uno stuolo di mosche Tolsi uno straccio nero che lo copriva, e vidi quel volto tumefatto: lo guardo e lo riguardo, è il volto del crocefisso. "Dio mio, Dio mio, Dio mio assente e lontano! Io ti chiamo di giorno e Tu muto...e io invece un verme, non uomo, un obbrobrio di uomo, un rifiuto!". Un rifiuto tra i rifiuti ai bordi della discarica, a pochi metri dall'acquitrino, a fianco del fiume Nairobi, la città le cui acque puzzano come quel rifiuto fuori dalle mura di Gerusalemme. Pregai con la gente della discarica per dare dignità a quest'uomo, che non l'ha mai avuta.
Questo dare dignità ai poveri! Come un'altra sera, quando arrivammo alla baracca di un giovanotto distrutto dall'Aids: pioveva a catinelle, e in quella baracca sommersa dall'acqua non riuscivamo neanche ad entrare. Il soffitto era tutto un buco e, per ripararsi, Njuguna aveva messo un pezzo di nylon sopra il letto. Ovunque, sputi e immondizia: "Ho sete!", fu l'ultima cosa che riuscì a dire, e corremmo a prendergli un bicchiere d'acqua. Volevamo celebrare l'Eucarestia, ma non c'era neanche un angolo dove mettere il pane. O forse la messa era già celebrata, anche senza pane e vino, con quel "Ho sete!", e col corpo spezzato di quel giovane abbandonato da tutti, anche dai suoi familiari. Messa dei disperati, 'acqua' della speranza!


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