venerdì 20 febbraio 2015

Scritti da voi - La maledizione del personaggio


Tutti noi scrittori abbiamo un personaggio cui siamo più affezionati, uno che magari riusciamo a delineare meglio, a rendere amato anche dai lettori.
Quando ero “dall’altra parte della barricata” , ovvero quando leggevo e non osavo sperare di esser considerata una scrittrice, mi è capitato di innamorarmi dell’ispettore Adamsberg, oppure di sognare di essere come Robin Hood (ehm, lo ammetto, non avevo l’animo della principessa da salvare, nemmeno da bambina), di fantasticare sulla vita di Momo o di esser pronta a combattere i draghi al fianco di Nihal; insomma, di esser tanto coinvolta dal libro che stavo leggendo da arrivare a considerarne i personaggi al pari di vecchi amici ai quali davo appuntamento e ritrovavo ogni qual volta sfogliassi le pagine sulle quali era raccontata la loro storia; quando terminavo il libro, mi sorprendevo a sperare in un seguito perché sentivo la mancanza dei personaggi che avevo imparato a conoscere.
Mi sentivo un po’ in colpa perché leggevo tante biografie ed articoli riguardanti autori i quali parlavano di quanto fosse difficile liberarsi di un determinato personaggio da loro creato; così difficile che alcuni sono arrivati perfino ad odiare le loro stesse creazioni. Basti pensare, fra tutti, a Sir Arthur Conan Doyle che aveva fatto morire Sherlock Holmes e poi era stato costretto a scrivere un romanzo nel quale si scopriva che non era morto davvero, per le insistenze del pubblico.
Mi sentivo in colpa perché non volevo che uno scrittore arrivasse ad odiare un proprio personaggio e al tempo stesso ero incuriosita dai meccanismi mentali che portavano a una situazione del genere.
Ho potuto capirlo soltanto adesso che sono diventata scrittrice anche io (così dicono) e i miei scritti vengono letti da molte persone. Nel mio piccolo, mi sono trovata nella stessa situazione: ho creato dei personaggi che chi mi legge ha amato a tal punto da chiedermi di scrivere ancora storie sul loro conto.
Devo fare una premessa doverosa: per quanto mi riguarda, sono più che felice di questa reazione del pubblico. Una delle soddisfazioni più grandi per chi scrive, per me, è scoprire che ciò che creo piace, appassiona, fa sognare e fantasticare, ridere, piangere, emozionare. È altrettanto bello vedere un proprio personaggio crescere, assumere una personalità propria, maturare e vivere nell’immaginario collettivo come se fosse una persona reale.
Però.
C’è un però che ho realizzato soltanto ora e che secondo me spiega come alcuni scrittori siano arrivati ad odiare le loro creature. Proverò a spiegarvelo e non per dirvi di smettere di chiedere che si parli ancora di un determinato personaggio, ma per invitarvi ad aprire la mente (se siete lettori, non vi sarà di sicuro difficile farlo) per accogliere le nuove storie che vengono proposte anche se il vostro scrittore preferito non vi ha inserito il vostro eroe o la vostra eroina.
Dovete sapere che siamo dei creativi, innanzi tutto: la creatività non ha regole, non sopporta le ripetizioni e si spegne quando diventa routine. Chi scrive ha tante storie da raccontare, pronte in punta di penna: la fantasia galoppa, gli stimoli sono molteplici, infiniti e non sempre i personaggi già creati si adattano a nuovi contesti. E così, nasce quella voglia di liberarsi di loro per poterne creare altri e cambiare ambientazione, iniziare nuove avventure, nuove sfide, magari cambiando genere.
Non sempre va bene, non sempre riusciamo a ricreare la stessa magia, ma a volte invece si scopre che quella nuova è perfino migliore di quella precedente. Possiamo soltanto sperare di esser in grado di inventare nuovi personaggi che siano in grado di farsi amare come gli altri.
E poi c’è la paura, la famosa “ansia da prestazione”, quella che ci fa dire “Era perfetto così, adesso se scriverò ancora di questo personaggio, potrei rovinare tutto”.
Ecco come nasce la famosa “maledizione del personaggio” e ciò che abbiamo creato con tanto amore diventa la nostra croce.
Una croce che in realtà, anche se molti non lo ammettono, siamo ben felici di portare: significa comunque che almeno una volta nella nostra vita siamo stati in grado di fare quello che sognavamo, ovvero trascinare nel nostro mondo di fantasia i lettori e coinvolgerli a tal punto da lasciare un segno di noi.
Dal mio punto di vista, quello di un’ autrice esordiente che si sta ancora cercando di abituare all’apprezzamento che riceve perché non sperava in tanta fortuna, la maledizione del personaggio è qualcosa di ancora molto lontano, ma finalmente comprensibile e forse perfino auspicabile.


di Laura Roggero

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