giovedì 3 dicembre 2015

[Magla's Addicted] - I 41 CANTI DI GIACOMO LEOPARDI


II - SOPRA IL MONUMENTO DI DANTE CHE SI PREPARAVA IN FIRENZE


Perchè le nostre genti Pace sotto le bianche ali raccolga, Non fien da' lacci sciolte Dell'antico sopor l'itale menti S'ai patrii esempi della prisca etade Questa terra fatal non si rivolga. O Italia, a cor ti stia Far ai passati onor; che d'altrettali Oggi vedove son le tue contrade, Nè v'è chi d'onorar ti si convegna. Volgiti indietro, e guarda, o patria mia, Quella schiera infinita d'immortali, E piangi e di te stessa ti disdegna; Che senza sdegno omai la doglia è stolta: Volgiti e ti vergogna e ti riscuoti, E ti punga una volta Pensier degli avi nostri e de' nepoti.
D'aria e d'ingegno e di parlar diverso Per lo toscano suol cercando gia L'ospite desioso Dove giaccia colui per lo cui verso Il meonio cantor non è più solo. Ed, oh vergogna! udia Che non che il cener freddo e l'ossa nude Giaccian esuli ancora Dopo il funereo dì sott'altro suolo, Ma non sorgea dentro a tue mura un sasso, Firenze, a quello per la cui virtude Tutto il mondo t'onora. Oh voi pietosi, onde sì tristo e basso Obbrobrio laverà nostro paese! Bell'opra hai tolta e di ch'amor ti rende, Schiera prode e cortese, Qualunque petto amor d'Italia accende.
Amor d'Italia, o cari, Amor di questa misera vi sproni, Ver cui pietade è morta In ogni petto omai, perciò che amari Giorni dopo il seren dato n'ha il cielo. Spirti v'aggiunga e vostra opra coroni Misericordia, o figli, E duolo e sdegno di cotanto affanno Onde bagna costei le guance e il velo. Ma voi di quale ornar parola o canto Si debbe, a cui non pur cure o consigli, Ma dell'ingegno e della man daranno I sensi e le virtudi eterno vanto Oprate e mostre nella dolce impresa? Quali a voi note invio, sì che nel core, Sì che nell'alma accesa Nova favilla indurre abbian valore?
Voi spirerà l'altissimo subbietto, Ed acri punte premeravvi al seno. Chi dirà l'onda e il turbo Del furor vostro e dell'immenso affetto? Chi pingerà l'attonito sembiante? Chi degli occhi il baleno? Qual può voce mortal celeste cosa Agguagliar figurando? Lunge sia, lunge alma profana. Oh quante Lacrime al nobil sasso Italia serba! Come cadrà? come dal tempo rosa Fia vostra gloria o quando? Voi, di ch'il nostro mal si disacerba, Sempre vivete, o care arti divine, Conforto a nostra sventurata gente, Fra l'itale ruine Gl'itali pregi a celebrare intente.
Ecco voglioso anch'io Ad onorar nostra dolente madre Porto quel che mi lice, E mesco all'opra vostra il canto mio, Sedendo u' vostro ferro i marmi avviva. O dell'etrusco metro inclito padre, Se di cosa terrena, Se di costei che tanto alto locasti Qualche novella ai vostri lidi arriva, Io so ben che per te gioia non senti, Che saldi men che cera e men ch'arena, Verso la fama che di te lasciasti, Son bronzi e marmi; e dalle nostre menti Se mai cadesti ancor, s'unqua cadrai, Cresca, se crescer può, nostra sciaura, E in sempiterni guai Pianga tua stirpe a tutto il mondo oscura.
Ma non per te; per questa ti rallegri Povera patria tua, s'unqua l'esempio Degli avi e de' parenti Ponga ne' figli sonnacchiosi ed egri Tanto valor che un tratto alzino il viso. Ahi, da che lungo scempio Vedi afflitta costei, che sì meschina Te salutava allora Che di novo salisti al paradiso! Oggi ridotta sì che a quel che vedi, Fu fortunata allor donna e reina. Tal miseria l'accora Qual tu forse mirando a te non credi. Taccio gli altri nemici e l'altre doglie; Ma non la più recente e la più fera, Per cui presso alle soglie Vide la patria tua l'ultima sera.
Beato te che il fato A viver non dannò fra tanto orrore; Che non vedesti in braccio L'itala moglie a barbaro soldato; Non predar, non guastar cittadi e colti L'asta inimica e il peregrin furore; Non degl'itali ingegni Tratte l'opre divine a miseranda Schiavitude oltre l'alpe, e non de' folti Carri impedita la dolente via; Non gli aspri cenni ed i superbi regni; Non udisti gli oltraggi e la nefanda Voce di libertà che ne schernia Tra il suon delle catene e de' flagelli. Chi non si duol? che non soffrimmo? intatto Che lasciaron quei felli? Qual tempio, quale altare o qual misfatto?
Perchè venimmo a sì perversi tempi? Perchè il nascer ne desti o perchè prima Non ne desti il morire, Acerbo fato? onde a stranieri ed empi Nostra patria vedendo ancella e schiava, E da mordace lima Roder la sua virtù, di null'aita E di nullo conforto Lo spietato dolor che la stracciava Ammollir ne fu dato in parte alcuna. Ahi non il sangue nostro e non la vita Avesti, o cara; e morto Io non son per la tua cruda fortuna. Qui l'ira al cor, qui la pietade abbonda: Pugnò, cadde gran parte anche di noi: Ma per la moribonda Italia no; per li tiranni suoi.
Padre, se non ti sdegni, Mutato sei da quel che fosti in terra. Morian per le rutene Squallide piagge, ahi d'altra morte degni, Gl'itali prodi; e lor fea l'aere e il cielo E gli uomini e le belve immensa guerra. Cadeano a squadre a squadre Semivestiti, maceri e cruenti, Ed era letto agli egri corpi il gelo. Allor, quando traean l'ultime pene, Membrando questa desiata madre, Diceano: oh non le nubi e non i venti, Ma ne spegnesse il ferro, e per tuo bene, O patria nostra. Ecco da te rimoti, Quando più bella a noi l'età sorride, A tutto il mondo ignoti, Moriam per quella gente che t'uccide.
Di lor querela il boreal deserto E conscie fur le sibilanti selve. Così vennero al passo, E i negletti cadaveri all'aperto Su per quello di neve orrido mare Dilaceràr le belve; E sarà il nome degli egregi e forti Pari mai sempre ed uno Con quel de' tardi e vili. Anime care, Bench'infinita sia vostra sciagura, Datevi pace; e questo vi conforti Che conforto nessuno Avrete in questa o nell'età futura. In seno al vostro smisurato affanno Posate, o di costei veraci figli, Al cui supremo danno Il vostro solo è tal che s'assomigli.
Di voi già non si lagna La patria vostra, ma di chi vi spinse A pugnar contra lei, Sì ch'ella sempre amaramente piagna E il suo col vostro lacrimar confonda. Oh di costei ch'ogni altra gloria vinse Pietà nascesse in core A tal de' suoi ch'affaticata e lenta Di sì buia vorago e sì profonda La ritraesse! O glorioso spirto, Dimmi: d'Italia tua morto è l'amore? Dì: quella fiamma che t'accese, è spenta? Dì: nè più mai rinverdirà quel mirto Ch'alleggiò per gran tempo il nostro male? Nostre corone al suol fien tutte sparte? Nè sorgerà mai tale Che ti rassembri in qualsivoglia parte?
In eterno perimmo? e il nostro scorno Non ha verun confine? Io mentre viva andrò sclamando intorno, Volgiti agli avi tuoi, guasto legnaggio; Mira queste ruine E le carte e le tele e i marmi e i templi; Pensa qual terra premi; e se destarti Non può la luce di cotanti esempli, Che stai? levati e parti. Non si conviene a sì corrotta usanza Questa d'animi eccelsi altrice e scola: Se di codardi è stanza, Meglio l'è rimaner vedova e sola.

(a cura di Pino Prete)

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