giovedì 21 aprile 2016

[Magla's Addicted] - Novembre profuma di lillà, poesia di Santina Gullotto




NOVEMBRE PROFUMA DI LILLA'
di Santina Gullotto



Giorni che emanano palpabile tristezza, l'aria pungente ad ogni tocco di orologio..... Il calore del sole fievole e sfuggente, è appena più caldo solo a mezzogiorno..... La natura violentata dall'umana avidità, adesso stanca, quel che volevi ti darà..... Mai per quanto di male ha ricevuto, solo in parte te lo renderà. E meno crudele di quanto ti aspetti, di quanto con lei tu sei stato..... E dopo il vento,e fulmini,e aette..... Ti regala un novembre, che profuma di lillà.....

(a cura di Pino Prete)

martedì 19 aprile 2016

Novità uscite Arpeggio Libero

Libri libri libri... Letture letture letture! 


Buongiorno care e cari lettori! :-D

Vi segnaliamo una nuova uscita dal catalogo Arpeggio Libero: il romanzo storico di Massimo Taras "Gli anni di Giulia"





Gli anni di Giulia

Massimo Taras



Questo romanzo, ambientato tra gli anni 1943 e 1951, potrebbe essere definito “ Il Romanzo dell’Amore e dell’Amicizia” dove la sincerità trionfa sull’ipocrisia.
Una donna: Giulia - Tre uomini: Arthur - Mauro - Claude che conoscono ogni frammento della reciproca anima. Un’esistenza tra amicizia e amore. Amici che non hanno bisogno di parole per capirsi, né di ridurre le distanze per abbracciarsi. Persone che poseranno sempre il loro sguardo sulla vita dell’altro. Destini incrociati, vissuti tra le sofferenze dell’ultima guerra e quelle della vita, “in un continuo rincorrersi di ricordi”.
Il romanzo, ispirato da luoghi realmente esistiti, si sviluppa nel periodo dell’occupazione tedesca fino ai primi anni cinquanta. Giulia, figlia unica di un ricco possidente, vive tra le campagne del Lazio e la Costa Azzurra. Una donna moderna molto bella ed emancipata per i suoi tempi. La sua più grande tragedia è l’amore che la lega ad Arthur, un alto ufficiale della Wehrmacht.
“Il Barone”, la tenuta di famiglia nelle vicinanze di Roma, viene occupato dai tedeschi, e diverrà lo scenario di una storia impossibile quanto tragica, che condizionerà l’esistenza di Giulia, costringendola a celare, per molti anni, un terribile segreto.

Giulia condivide la sua infanzia e adolescenza con Mauro, figlio dello stalliere. Mauro è un uomo coraggioso, che si unirà alle formazioni partigiane per seguire i suoi ideali di libertà.  Un rapporto intenso e sincero che il destino cercherà di dividere.  Sua cugina Carla, ricca ed evoluta, la introdurrà nella vita mondana della Costa Azzurra, dove farà nuove importanti amicizie, ma ciò non servirà a distaccarla dal suo passato, che ritornerà prepotentemente.  Claude, affermato avvocato francese, conosciuto a Nizza e follemente innamorato di Giulia, l’aiuterà a riflettere, scrutarsi dentro, alla ricerca di quello che forse neanche lei è in grado di riconoscere. Il ritrovamento di un libro, infine, sarà il mezzo che le permetterà di aggiungere un importante tassello per fare finalmente chiarezza, in un ultimo colpo di scena!

[Magla's Addicted] - I 41 CANTI DI GIACOMO LEOPARDI XIX - AL CONTE CARLO PEPOLI







I 41 CANTI DI GIACOMO LEOPARDI
XIX - AL CONTE CARLO PEPOLI 


Questo affannoso e travagliato sonno Che noi vita nomiam, come sopporti, Pepoli mio? di che speranze il core Vai sostentando? in che pensieri, in quanto O gioconde o moleste opre dispensi L'ozio che ti lasciàr gli avi remoti, Grave retaggio e faticoso? E' tutta, In ogni umano stato, ozio la vita, Se quell'oprar, quel procurar che a degno Obbietto non intende, o che all'intento Giunger mai non potria, ben si conviene Ozioso nomar. La schiera industre Cui franger glebe o curar piante e greggi Vede l'alba tranquilla e vede il vespro, Se oziosa dirai, da che sua vita E' per campar la vita, e per se sola La vita all'uom non ha pregio nessuno, Dritto e vero dirai. Le notti e i giorni Tragge in ozio il nocchiero; ozio il perenne Sudar nelle officine, ozio le vegghie Son de' guerrieri e il perigliar nell'armi; E il mercatante avaro in ozio vive: Che non a se, non ad altrui, la bella Felicità, cui solo agogna e cerca La natura mortal, veruno acquista Per cura o per sudor, vegghia o periglio. Pure all'aspro desire onde i mortali Già sempre infin dal dì che il mondo nacque D'esser beati sospiraro indarno, Di medicina in loco apparecchiate Nella vita infelice avea natura Necessità diverse, a cui non senza Opra e pensier si provvedesse, e pieno, Poi che lieto non può, corresse il giorno All'umana famiglia; onde agitato E confuso il desio, men loco avesse Al travagliarne il cor. Così de' bruti La progenie infinita, a cui pur solo, Nè men vano che a noi, vive nel petto Desio d'esser beati; a quello intenta Che a lor vita è mestier, di noi men tristo Condur si scopre e men gravoso il tempo, Nè la lentezza accagionar dell'ore. Ma noi, che il viver nostro all'altrui mano Provveder commettiamo, una più grave Necessità, cui provveder non puote Altri che noi, già senza tedio e pena Non adempiam: necessitate, io dico, Di consumar la vita: improba, invitta Necessità, cui non tesoro accolto, Non di greggi dovizia, o pingui campi, Non aula puote e non purpureo manto Sottrar l'umana prole. Or s'altri, a sdegno I vóti anni prendendo, e la superna Luce odiando, l'omicida mano, I tardi fati a prevenir condotto, In se stesso non torce; al duro morso Della brama insanabile che invano Felicità richiede, esso da tutti Lati cercando, mille inefficaci Medicine procaccia, onde quell'una Cui natura apprestò, mal si compensa. Lui delle vesti e delle chiome il culto E degli atti e dei passi, e i vani studi Di cocchi e di cavalli, e le frequenti Sale, e le piazze romorose, e gli orti, Lui giochi e cene e invidiate danze Tengon la notte e il giorno; a lui dal labbro Mai non si parte il riso; ahi, ma nel petto, Nell'imo petto, grave, salda, immota Come colonna adamantina, siede Noia immortale, incontro a cui non puote Vigor di giovanezza, e non la crolla Dolce parola di rosato labbro, E non lo sguardo tenero, tremante, Di due nere pupille, il caro sguardo, La più degna del ciel cosa mortale.
Altri, quasi a fuggir volto la trista Umana sorte, in cangiar terre e climi L'età spendendo, e mari e poggi errando, Tutto l'orbe trascorre, ogni confine Degli spazi che all'uom negl'infiniti Campi del tutto la natura aperse, Peregrinando aggiunge. Ahi ahi, s'asside Su l'alte prue la negra cura, e sotto Ogni clima, ogni ciel, si chiama indarno Felicità, vive tristezza e regna.
Havvi chi le crudeli opre di marte Si elegge a passar l'ore, e nel fraterno Sangue la man tinge per ozio; ed havvi Chi d'altrui danni si conforta, e pensa Con far misero altrui far se men tristo, Sì che nocendo usar procaccia il tempo. E chi virtute o sapienza ed arti Perseguitando; e chi la propria gente Conculcando e l'estrane, o di remoti Lidi turbando la quiete antica Col mercatar, con l'armi, e con le frodi, La destinata sua vita consuma.
Te più mite desio, cura più dolce Regge nel fior di gioventù, nel bello April degli anni, altrui giocondo e primo Dono del ciel, ma grave, amaro, infesto A chi patria non ha. Te punge e move Studio de' carmi e di ritrar parlando Il bel che raro e scarso e fuggitivo Appar nel mondo, e quel che più benigna Di natura e del ciel, fecondamente A noi la vaga fantasia produce E il nostro proprio error. Ben mille volte Fortunato colui che la caduca Virtù del caro immaginar non perde Per volger d'anni; a cui serbare eterna La gioventù del cor diedero i fati; Che nella ferma e nella stanca etade, Così come solea nell'età verde, In suo chiuso pensier natura abbella, Morte, deserto avviva. A te conceda Tanta ventura il ciel; ti faccia un tempo La favilla che il petto oggi ti scalda, Di poesia canuto amante. Io tutti Della prima stagione i dolci inganni Mancar già sento, e dileguar dagli occhi Le dilettose immagini, che tanto Amai, che sempre infino all'ora estrema Mi fieno, a ricordar, bramate e piante. Or quando al tutto irrigidito e freddo Questo petto sarà, nè degli aprichi Campi il sereno e solitario riso, Nè degli augelli mattutini il canto Di primavera, nè per colli e piagge Sotto limpido ciel tacita luna Commoverammi il cor; quando mi fia Ogni beltate o di natura o d'arte, Fatta inanime e muta; ogni alto senso, Ogni tenero affetto, ignoto e strano; Del mio solo conforto allor mendico, Altri studi men dolci, in ch'io riponga L'ingrato avanzò della ferrea vita, Eleggerò. L'acerbo vero, i ciechi Destini investigar delle mortali E dell'eterne cose; a che prodotta, A che d'affanni e di miserie carca L'umana stirpe; a quale ultimo intento Lei spinga il fato e la natura; a cui Tanto nostro dolor diletti o giovi: Con quali ordini e leggi a che si volva Questo arcano universo; il qual di lode Colmano i saggi, io d'ammirar sono pago.
In questo specolar gli ozi traendo Verrò: che conosciuto, ancor che tristo, Ha suoi diletti il vero. E se del vero Ragionando talor, fieno alle genti O mal grati i miei detti o non intesi, Non mi dorrò, che già del tutto il vago Desio di gloria antico in me fia spento: Vana Diva non pur, ma di fortuna E del fato e d'amor, Diva più cieca.

(a cura di Pino Prete)

venerdì 15 aprile 2016

[Letti per voi] - Autobus per il paradiso di Leo Buscaglia


Ciao followers tutt*!

Volete leggere un libro che vi aiuti ad approfondire i meccanismi delle relazioni personali, che vi spinga a rendere più veri e semplici i vostri rapporti con gli altri, che renda più gioioso il percorso della vostra esistenza?

Ecco il libro che fa per voi: è “Autobus per il Paradiso” di Leo Buscaglia… 

Autobus per il paradiso di Leo Buscaglia
1997 – Mondadori Editore – ISBN 9788804423102 – 308 pp – € 9,50


Desrizione del volume (tratta dal sito Mondadori)

L’amore come fonte d’energia che non diminuisce mai usandola, e che ci fornisce la sicurezza necessaria a sfidare noi stessi e gli altri per cambiare e per crescere.
L’autore ci invita ad appassionarci alla vita, al cibo, alle piante e agli animali; ci insegna la disponibilità, l’amor proprio, il piacere della dignità e la grandezza del donare comunicando e amando gli altri.

Dire “Ti amo” vuole anche dire “Non ti do per scontato”, che la forza che ci ha uniti ancora esiste.
[Leo Buscaglia, “Autobus per il paradiso”]

****

Le parole hanno il potere di costruire, creare e arricchire oltre a quello di ferire e distruggere.
[Leo Buscaglia, “Autobus per il paradiso”]



L’Autore

Felice Leonardo Buscaglia (1924-1998) è stato docente presso la University of Southern California e scrittore statunitense. Nato negli Stati Uniti da genitori italiani (piemontesi) fu il primo ad istituire in America un corso universitario sull’amore; corso che ottenne un inaspettato successo e venne riproposto per molti anni, facendogli ottenere l’appellativo di “Il professore dell’Amore”.


Leo Buscaglia è stato autore di numerosi bestseller sull’educazione e sull’amore: “Vivere, amare, capirsi”, “Amore”, “La coppia amorosa”, “La cucina dell’amore”, “Nati per amare”, “La via del toro” e, infine, il suo ultimo volume scritto un anno prima della morte “Autobus per il paradiso”.


La mia recensione


L’arte di saper vivere con gli altri, di comprendere e gestire la propria serenità. Un famoso sociologo spiega in modo chiaro e sincero quali sono i meccanismi che ci impediscono di essere felici. In questo piccolo volume ci sono perle di saggezza, scritte in modo così chiaro che arrivano dirette nel cuore di chi legge, provocandone un grande cambiamento interiore nel modo di relazionarsi agli altri, di vederne e capirne i comportamenti.

Leo Buscaglia è stato un personaggio fondamentale per la mia crescita umana. Ho incontrato per caso un altro suo libro “Vivere, amare, capirsi” durante la fase adolescenziale; fase complicata e difficilissima per tutti ma soprattutto per me in quel periodo. Vi ho trovato un rifugio e un insegnamento che mai dimenticherò, perché con poche brevi parole Buscaglia riesce a trasmettere la potenza del suo messaggio, che poi è riassunto perfettamente nelle parole del titolo: “vivi”, “ama”, “comprendi”, “perdona”.

In questo libro l’Autore approfondisce in modo più mirato i rapporti umani, le relazioni sociali e l’interazione con gli altri. C’è un breve stralcio che vorrei leggeste, che vi farà sorridere ma che vi porterà anche a riflettere…

…per la famiglia un rivelatore economico più accurato di Wall Street. Potevamo dedurre la nostra situazione economica dalla densità del minestrone: un bel brodo fitto indicava che ai Buscaglia andava tutto bene, una minestra acquosa invece denotava tempi magri, meno ricchi. Per quanto abbondante fosse il cibo servito a casa nostra, non si buttava via mai niente. Andava a finire tutto nella zuppiera. Il minestrone era curativo. Soddisfava le esigenze sia del corpo sia della mente. A qualsiasi ora del giorno o della notte un membro della famiglia tornava a casa era sempre ora di minestrone. Se papà lavorava fino a tardi – e facendo il cameriere succedeva più spesso che mai – mamma si alzava da letto con indosso la vestaglia di cotone, i lunghi capelli castani sciolti sulle spalle in morbide onde, e si sedevano davanti ad un piatto di minestra. Più che altro lei stava ad ascoltarlo mentre mangiando lui le raccontava le tribolazioni e le discussioni o le gioie e i successi della giornata. Se ci facevamo male il rimedio della mamma era immancabilmente un cerotto, un abbraccio e una scodella di minestra. Guariva raffreddore, febbre, il mal di testa, l’indigestione, il mal di cuore e la tristezza. Quante volte un piatto di minestrone è servito a riunirci con calore e gioia? Era un atto di comunione. Se qualcuno passava a trovarci, estranei compresi, ben presto ci saremmo trovati tutti intorno al tavolo della cucina a chiacchierare davanti ad un piatto di fumante minestra. Serviva da prima colazione, da veloce pranzo e da spuntino di mezzanotte. A volte era persino un segnale per qualcuno che aveva voglia di parlare. Mamma morì dieci anni fa circa, sei prima di papà. La casa non fu più la stessa. Qualcuno spense il gas sotto il pentolone della minestra il giorno dopo il funerale e con quella fiamma se ne andò tutta un’era. Oh, è ovvio che a casa mia si prepara ancora il minestrone di tanto in tanto. Ma in quantità minori e solo in particolari occasioni. Il calore rassicurante che riempiva la casa ora manca. Anzi, i più piccoli dicono che fa puzzare la casa, che riempie troppo, o che dopo un po’ li nausea. Sono ben poche le cose su cui poter contare oggigiorno. Ci vorrebbero più zuppiere colme di minestrone nel mondo. Desidero ancora la sua sicurezza, il suo aroma, il suo gusto. Sono certo che vi sono ancora case su questa terra dove bollono ancora simili minestre. Che bollano a lungo!  [Leo Buscaglia, “Autobus per il paradiso”]

Insomma, che aspettate a leggervelo tutto? Sono certa che apprezzerete l’Autore e il suo messaggio, come l’ho apprezzato io! :-)

Alla prossima! (kiss kiss kiss :-*)

∼ Loriana ∼





[Letti per voi] - L’alba dei papaveri, di Adua Biagioli Spadi

 Poesie d’amore e d’identità

11072910_10205223389357363_665063611416817613_n

Titolo: ” L’alba dei papaveri (poesie d’amore e d’identità)” – Autrice: Adua Biagioli Spadi – Editore: La vita felice – Genere: poesia – pagine: 88 – anno: 2015 – prezzo: 12.00 euro –  Isbn: 9788877997371 – acquistalo qui



Dalla prefazione di Ilaria Minghetti

L’alba dei papaveri, il giorno che nasce come simbolo della vita che si rinnova continuamente e i papaveri come simbolo della bellezza della spontaneità.
Frutto di un lavoro durato dal 2007 al 2014, la raccolta è nata da un’esigenza di “parlarsi” e successivamente di parlare, da un dialogo prima con se stessa e successivamente con l’altro, da una ricerca prima di valutazione e poi di condivisione su temi nei quali viene data al lettore la possibilità di riconoscersi, di individuare percorsi analoghi.
Poesie d’amore e identità è il sotto titolo indicante due fulcri fondamentali su cui poggia lo sviluppo dei testi: l’amore con tutti i suoi volti, l’identità con la ricerca dei vari aspetti dell’Io relazionato al mondo.
L’alba dei papaveri è un ricordo a sottolineare che il tempo non è mai statico e mai del tutto passato.


La mia recensione


– L’assenza –

Senti, come tutto quaggiù
si trasforma sotto la neve.
Il tetto spiovente è scivolo immacolato,
piegata di peso è la morbida frasca
pare onda appesa all’aria che gela.
L’azzurro bagliore mi sfugge
in opaca crosta di quercia
il fuori condensa perfino quella carezza.
Pure il mio restare in questo fermarsi
un istante biancheggia,
silenzio degli strumenti.
L’orizzonte è un altro e io
non arrivo mai.
Tutto sparisce
sotto la neve che copre,
tranne queste tue rose infuocate
che non so più guardare dentro,
nel profumo dell’assenza.

Le poesie di Adua Biagioli Spadi hanno il tocco delicato del pittore. Esse sono brevi tele dai colori differenti, capaci di cristallizzare in versi un ricordo, un breve palpito di vita.
La penna dell’Autrice è lieve e i componimenti si susseguono con musicalità e sensibilità artistica.
– A un amore –

A te mi rivolgo,
perché so che ci sarai
quando il desiderio di una vita
tasterò fra tocchi rifioriti,
tenendo il frutto colto nel mattino
dal cielo di un balcone.
Questo mare sa di onda che sale
leggera nella calma
corteggia la conchiglia
mentre osservo la lentezza
dei gabbiani, il sibilare
a pelo a pelo sull’arioso soffio.
Proprio da quaggiù,
dove la gente stiracchia
un minuscolo sorriso
dentro a un rito buono,
nell’ovatta della quiete
dove arrischia il sole a picco.
Onde che non fanno salpare.
Il loro moto
fa sperare
di udire la tua voce
che cerco straniera nel tuo campo,
nella sabbia che stringo
ancora nel mio palmo.
Le brevi istantanee, che si dispiegano attraverso le pagine, colpiscono proprio per questa delicatezza costante, trasformandosi in leggere liriche di luce e colori, attraverso cui viaggiano le emozioni.
Oro
L’oro è dove mai lo attendo
nei disincantati luoghi,
perfino nel bruscello degli
inverni succubi del freddo.
Negli angoli tramortiti del giardino
e nel profumo intenso dei tuoi panni
l’oro si nasconde,
si rivela solido gioiello
sprofumato ai mille venti.
L’oro è sempre dentro ai firmamenti,
sa della tua voce,
questo è il gusto intriso del suo canto,
vibra dentro all’invisibile tuo gesto
e sfuma in echi di caldi tuoi respiri.
Dovevo saperlo che eri grappolo d’acini
intrappolato nel mescere dell’ocra,
potevo riconoscere nel sole dei miei drammi,
la fortuna del dono degli intarsi che celavi.
Ma quando vivi l’ora del qui
e il minuto tremolante dell’incerto
non ti avvedi mai
della delizia preziosa che ti porta,
l’Eldorado che possiede forse
finissima polvere di verità.

Ne consiglio la lettura agli amanti della poesia, quella cristallina di luce, soffusa di emozioni.
∼ Loriana ∼

[Magla's Addicted] - Bolero, poesia di Julio Cortazàr

Julio Cortazàr
– Bolero

Che vanità immaginare che possa darti tutto, l’amore e la fortuna, itinerari, musica, giocattoli. Di sicuro è così: ti do tutto me stesso, sicuro, però tutto me stesso non ti basta come a me non basta che tu mi dia tutta te stessa. Per questo non saremo mai la coppia perfetta, la cartolina, se non siamo capaci di accettare che solo in aritmetica il due nasce dall’uno più uno.
Di là un foglietto che recita solamente:
sempre sei stata il mio specchio, voglio dire che per vedermi dovevo guardarti.

(a cura di Pino Prete)

giovedì 7 aprile 2016

[Magla's Addicted] - Aspasia, Leopardi


I 41 CANTI DI GIACOMO LEOPARDI

XXIX - ASPASIA

 
Torna dinanzi al mio pensier talora Il tuo sembiante, Aspasia. O fuggitivo Per abitati lochi a me lampeggia In altri volti; o per deserti campi, Al dì sereno, alle tacenti stelle, Da soave armonia quasi ridesta, Nell'alma a sgomentarsi ancor vicina Quella superba vision risorge. Quanto adorata, o numi, e quale un giorno Mia delizia ed erinni! E mai non sento Mover profumo di fiorita piaggia, Nè di fiori olezzar vie cittadine, Ch'io non ti vegga ancor qual eri il giorno Che ne' vezzosi appartamenti accolta, Tutti odorati de' novelli fiori Di primavera, del color vestita Della bruna viola, a me si offerse L'angelica tua forma, inchino il fianco Sovra nitide pelli, e circonfusa D'arcana voluttà; quando tu, dotta Allettatrice, fervidi sonanti Baci scoccavi nelle curve labbra De' tuoi bambini, il niveo collo intanto Porgendo, e lor di tue cagioni ignari Con la man leggiadrissima stringevi Al seno ascoso e desiato. Apparve Novo ciel, nova terra, e quasi un raggio Divino al pensier mio. Così nel fianco Non punto inerme a viva forza impresse Il tuo braccio lo stral, che poscia fitto Ululando portai finch'a quel giorno Si fu due volte ricondotto il sole. Raggio divino al mio pensiero apparve, Donna, la tua beltà. Simile effetto Fan la bellezza e i musicali accordi, Ch'alto mistero d'ignorati Elisi Paion sovente rivelar. Vagheggia Il piagato mortal quindi la figlia Della sua mente, l'amorosa idea, Che gran parte d'Olimpo in se racchiude, Tutta al volto ai costumi alla favella, Pari alla donna che il rapito amante Vagheggiare ed amar confuso estima. Or questa egli non già, ma quella, ancora Nei corporali amplessi, inchina ed ama. Alfin l'errore e gli scambiati oggetti Conoscendo, s'adira; e spesso incolpa La donna a torto. A quella eccelsa imago Sorge di rado il femminile ingegno; E ciò che inspira ai generosi amanti La sua stessa beltà, donna non pensa, Nè comprender potria. Non cape in quelle Anguste fronti ugual concetto. E male Al vivo sfolgorar di quegli sguardi Spera l'uomo ingannato, e mal richiede Sensi profondi, sconosciuti, e molto Più che virili, in chi dell'uomo, al tutto Da natura è minor. Che se più molli E più tenui le membra, essa la mente Men capace e men forte anco riceve. Nè tu finor giammai quel che tu stessa Inspirasti alcun tempo al mio pensiero, Potesti, Aspasia, immaginar. Non sai Che smisurato amor, che affanni intensi, Che indicibili moti e che deliri Movesti in me; nè verrà tempo alcuno Che tu l'intenda. In simil guisa ignora Esecutor di musici concenti Quel ch'ei con mano o con la voce adopra In chi l'ascolta. Or quell'Aspasia è morta Che tanto amai. Giace per sempre, oggetto Della mia vita un dì: se non se quanto, Pur come cara larva, ad ora ad ora Tornar costuma e disparir. Tu vivi, Bella non solo ancor, ma bella tanto, Al parer mio, che tutte l'altre avanzi. Pur quell'ardor che da te nacque è spento: Perch'io te non amai, ma quella Diva Che già vita, or sepolcro, ha nel mio core. Quella adorai gran tempo; e sì mi piacque Sua celeste beltà, ch'io, per insino Già dal principio conoscente e chiaro Dell'esser tuo, dell'arti e delle frodi, Pur ne' tuoi contemplando i suoi begli occhi, Cupido ti seguii finch'ella visse, Ingannato non già, ma dal piacere Di quella dolce somiglianza, un lungo Servaggio ed aspro a tollerar condotto. Or ti vanta, che il puoi. Narra che sola Sei del tuo sesso a cui piegar sostenni L'altero capo, a cui spontaneo porsi L'indomito mio cor. Narra che prima, E spero ultima certo, il ciglio mio Supplichevol vedesti, a te dinanzi Me timido, tremante (ardo in ridirlo Di sdegno e di rossor), me di me privo, Ogni tua voglia, ogni parola, ogni atto Spiar sommessamente, a' tuoi superbi Fastidi impallidir, brillare in volto Ad un segno cortese, ad ogni sguardo Mutar forma e color. Cadde l'incanto, E spezzato con esso, a terra sparso Il giogo: onde m'allegro. E sebben pieni Di tedio, alfin dopo il servire e dopo Un lungo vaneggiar, contento abbraccio Senno con libertà. Che se d'affetti Orba la vita, e di gentili errori, E' notte senza stelle a mezzo il verno, Già del fato mortale a me bastante E conforto e vendetta è che su l'erba Qui neghittoso immobile giacendo, Il mar la terra e il ciel miro e sorrido.


(a cura di Pino Prete)

venerdì 1 aprile 2016

[Magla's Addicted] - Sto sognando strade pomeriggio. Antonio Machado

ANTONIO MACHADO
Sto sognando strade pomeriggio. 


Le colline oro, verde dei pini, la quercia polveroso! ... Da dove viene questa strada va? Sto cantando, viaggiatore lungo il percorso ... -la tardi IS cadere. "Al cuore non aveva la spina di una passione; Sono riuscito a strappare un giorno: "Non mi sento il cuore."
E l'intero campo un momento rimane, silenzioso e cupo, meditando. Suoni vento Pioppi sul fiume.
Più sera oscura; e la strada che si snoda e debolmente sbiancamento offusca e scompare.
Il mio canto di nuovo lamentano: "Spina d'oro Sharp, Chi ti sentiresti bloccato nel cuore. "

(a cura di Pino Prete)